Il Principe tombarolo
L'archeologia fu la sua grande passione: entusiasmi, successi e cantonate di Luciano Bonaparte, Principe di Canino |
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di
Giuseppe Moscatelli |
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Ritratto di principe
Siamo abituati a pensare a Luciano Bonaparte come ad un tranquillo
signorotto di campagna che dal suo eremo di Musignano organizzava
battute di caccia e campagne di scavi. Oppure come ad un
ex-politico caduto in disgrazia ed esiliato nel piccolo borgo di
Canino; una specie di pensionato di lusso venuto a svernare in
questa parte d'Etruria l'estrema fase della sua vita. O, peggio,
come ad uno che visse di luce riflessa all'ombra del Grande
Fratello, l'Imperatore, da cui ottenne favori e onori.
Le cose non stanno propriamente così.
Si trattò infatti di un uomo dalla personalità forte e complessa, a
tratti contraddittoria: rivoluzionario e papalino, repubblicano e
aristocratico, intellettuale e mercante. Un animo inquieto,
alimentato da uno spirito audace e risoluto. Fu politico, ministro,
ambasciatore, scrittore, poeta, archeologo, astronomo e giurista.
Uno che visse una vita travagliata, facendo le debite proporzioni,
quasi quanto quella dell'illustre fratello.
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Il Castello e Ponte dell'Abbadia a Vulci |
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Ingresso del Castello di Musignano, residenza di Luciano
Bonaparte a Canino |
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Napoleone gli deve molto: fu Luciano a inscenare la memorabile pantomima,
il geniale colpo di teatro, che rivoltò le sorti del 18 brumaio
1799. Fu Luciano che, di fronte ai tumulti dell'assemblea dei
cinquecento da lui stesso presieduta e che stava per dichiarare
Napoleone fuorilegge, afferrò una spada e puntandola enfaticamente
alla gola dell'illustre fratello dichiarò a gran voce che lui per
primo avrebbe ucciso Napoleone se mai avesse osato violare le
libertà della Francia. Sappiamo poi come è andata a finire.
Determinato nel respingere ogni intrusione e interferenza nella
propria sfera di libertà privata ed autonomia di giudizio e per
nulla incline a modi cortigiani, preferì l'amore alla politica e,
contro la volontà di Napoleone, sposò in seconde nozze la borghese
Alessandrina de Bleschamps, vedova di un agente di cambio, venendo
così definitivamente in urto con il fratello - del quale per altro
disapprovava politica e sistemi di governo - che caldeggiava per
lui un matrimonio politico.
Nonostante i contrasti, le pressioni e i condizionamenti (Napoleone
aveva già osteggiato il primo matrimonio di Luciano con Cristina
Boyer, poi deceduta); nonostante l'allontanamento dalla corte di
Parigi e il volontario esilio in terra di Tuscia, Luciano si sentì
sempre legato a Napoleone e lo amò con affetto sincero e fraterno,
tanto da essergli vicino nei momenti più bui della sua vita. Una
figura da molti punti di vista assai interessante, quindi.
A noi tuttavia Luciano Bonaparte interessa come pioniere, patrono e
artefice della prima fase di scavi in questa parte d'Etruria.
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Il sacco di Vulci
Ma quando avvenne ciò, con esattezza?
George Dennis, nel suo celebratissimo "Città e Necropoli d'Etruria",
ci fornisce in proposito una data abbastanza precisa: la primavera
del 1828, allorchè la volta di una tomba a camera nelle vicinanze
del castello di Vulci franò sotto il peso dei buoi che aravano un
campo, rivelando così la presenza di pochi (per la verità)
frammenti ceramici. Fu quello il "via", l'inizio di una "caccia al
tesoro" che non si è ancora conclusa.
Questo racconto, per quanto affascinante, ci appare nondimeno -
come premesso - poco più che un pretesto letterario: non
dimentichiamo che il Dennis, archeologo e viaggiatore per passione,
scrittore e diplomatico per professione, si rivolgeva ai suoi
connazionali inglesi (la prima edizione della sua opera fu
pubblicata in due volumi a Londra nel 1848) e come ogni narratore
avvertiva l'esigenza di rendere avvincente la lettura e organico lo
svolgimento degli eventi. Non ebbe quindi difficoltà a riferire
l'episodio, per altro assai verosimile, appreso presso il clan dei
Bonaparte.
In verità i nostri contadini e pastori hanno da sempre utilizzato
le grotte etrusche come ricoveri per se stessi e per le greggi, o
come depositi per il raccolto. E le alluvioni, già molto prima dei
moderni mezzi agricoli, avevano dilavato e livellato i fondi
facendo emergere una gran quantità di residui ceramici. La scoperta
casuale di pochi frammenti avrebbe quindi lasciato pressoché
indifferente chi da sempre usava le olle e i vasi etruschi come
contenitori o mangiatoie. Ciò, evidentemente, nulla toglie alla
autenticità e verità del racconto del Dennis, frutto di accurate
ricerche condotte sui luoghi, che l'Autore percorse, si può dire,
palmo a palmo, e che rappresenta tutt'oggi una fonte
imprescindibile per chi voglia occuparsi di cose etrusche.
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La Cuccumella.
Incisione su rame di Luigi Canina.
Ricostruzione e stato al 1851 |
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