LA MORTE DEL BRIGANTE FIORAVANTI

In un raro documento fotografico l’unica immagine del compagno di Tiburzi


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di Giuseppe Moscatelli

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Nipote d’arte

Capita non di rado che i nostri lettori oltre a congratularsi per il nostro lavoro ci offrano spunti  di ulteriori ricerche ponendoci domande e questioni.

La cosa ci fa naturalmente piacere e noi cerchiamo sempre di rispondere su tutto, ma trattandosi spesso di richieste provenienti da persone motivate ed esperte talvolta i quesiti risultano di notevole difficoltà e quindi tutt’altro che agevoli da soddisfare.

L’ultima volta per esempio avevamo quasi gettato la spugna: un lettore non italiano ci aveva chiesto se esistono fotografie del brigante Luciano Fioravanti, “nipote d’arte” visto che suo zio era il famigerato Domenico Biagini, compagno di galera e di nefandezze del ben più noto Tiburzi.

Luciano Fioravanti, che di Tiburzi divenne il fido compagno dopo la morte dello zio, rispetto al vecchio bandito era solo un “pischello”: aveva infatti ventuno anni in meno. Tiburzi lo volle con sé probabilmente per la sua giovinezza e prestanza, ma ancor più per la sua straordinaria ferocia. Per accoglierlo nella banda c’era infatti da pagare pedaggio e la prova voluta da Tiburzi per saggiare fedeltà e efferatezza del nuovo arrivato fu quella di fargli uccidere il suo amico più fido, brigante pure lui, Demetrio Bettinelli detto “il Principino”, che di Fioravanti in quel momento era ed era stato per anni fedele compagno alla macchia.

Fioravanti non se lo fece ripetere e nel giro di qualche giorno, alla buona occasione, fece fuori proditoriamente l’ex sodale, sparandogli direttamente in fronte. Inizia così una nuova sanguinosa stagione che vedrà la sua conclusione solo nel giugno nel 1900 allorché a Fioravanti, a soli 43 anni,  fu reso quanto aveva dato: fu infatti assassinato a tradimento da mano amica, quella di Gaspare Mancini, di professione contadino e fruttivendolo, che non se la sentiva di unirsi alla banda, come sembra Fioravanti volesse imporgli.

Cinico destino, quello del Fioravanti:  era uscito indenne dall’agguato alla macchia di Gricciano, dove i Carabinieri chiusero il conto col Biagini; e da quello, ben più celebrato, del casale alle Forane di Capalbio, dove i valorosi militi resero lo stesso servizio a Tiburzi,  per beccarsi un colpo ben mirato alla nuca da parte di un recalcitrante amico, per nulla convinto di darsi alla macchia; e il quale, per inciso, intascò pure la cospicua taglia che sulla testa del bandito pendeva.

 

Foto di bandito mort’ammazzato in posa

Tornando al nostro spunto iniziale occorre rilevare che foto dei briganti, in genere, sono tutt’altro che frequenti. Vivendo alla macchia, evidentemente, la loro ultima preoccupazione era quella di documentare le proprie gesta. Senza contare che una “foto segnaletica” avrebbe facilitato il compito di chi dava loro incessantemente la caccia, ovvero gli intrepidi carabinieri.

Non solo, il fascino del brigante era tutto nella sua inafferrabilità ed evanescenza: te lo trovavi repentinamente davanti, nell’intreccio dei sentieri alla macchia, con coltellaccio alla cintola e fucile imbracciato, e capivi che era lui. A quel punto sopravviveva chi sparava per primo (e colpiva il bersaglio). Tante volte, purtroppo, a finire sui rovi furono gli eroici militi. Ma alla fine i conti tornano sempre e ben pochi furono i banditi cui fu dato di finire i loro giorni sul proprio letto, seppur  nelle angustie di una cella.

Ciò spiega perché la gran parte delle foto a noi pervenute siano tutte state realizzate dopo la morte cruenta del brigante, in un estemporaneo set allestito lì per lì dai carabinieri per documentare l’evento e soprattutto quale monito ai briganti ancora uccel di bosco e ristoro morale per parenti e amici delle vittime.

La stessa cosa toccò anche al Fioravanti: dopo la sua uccisione nel podere Lascone in quel di Manciano fu, a mò di cinghiale, legato ad una scala a pioli e issato in bella posa, addossando la scala alla parete della chiesetta dell’Annunziata. Fu poi chiamato il fotografo per documentare “la caccia”, ma questa volta – chissà, forse per l’emozione – la mano doveva proprio tremargli, tant’è che fu particolarmente maldestro. Riuscì a scattare due foto, una peggiore dell’altra. Essendo la prima troppo scura cerco infatti di schiarirla, peggiorando la situazione. Meglio così, almeno ci è stata risparmiato l’orrore del volto straziato del bandito.

 

                                                                              Giuseppe Moscatelli

 

Si ringrazia lo studioso Giuseppe Bellucci per aver fornito le foto

 

 

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