DOMENICO TIBURZI CANDIDATO AL PARLAMENTO NAZIONALE

 La proposta, che ebbe un largo seguito, fu avanzata per le elezioni suppletive del 1893


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di Anzio Risi 

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Il 15 maggio 1892 Giovanni Giolitti formò il suo primo governo del quale assunse ad interim anche il Ministero dell’Interno. Nel programma figurava ai primi posti l’estirpazione della piaga del brigantaggio in Maremma, e soprattutto la cattura del super latitante Domenico Tiburzi.

Nel gennaio del 1893 le forze dell’ordine realizzarono una retata senza precedenti in tutti i paesi dell’ex Ducato di Castro, a caccia dei briganti Domenico Tiburzi e Luciano Fioravanti e di quanti favorivano la loro latitanza.

Il risultato di questa operazione furono 126 arrestati e 145 denunciati a piede libero, la maggior parte dei quali contadini e pastori tutti processati a Viterbo. Tiburzi però restava latitante.

L'azione delle forze dell'ordine portò il brigantaggio maremmano, e Tiburzi in particolare, agli onori della popolarità nazionale e da quel momento la caccia al bandito divenne serrata e spietata.

Lo scandalo della Banca Romana fu un caso politico-finanziario che coinvolse alcuni settori della Sinistra storica, accusati di collusione negli affari illeciti della Banca Romana, ex Banca dello Stato Pontificio, uno dei sei istituti che all'epoca erano abilitati ad emettere moneta circolante in Italia.

A quanto sembra la Banca Romana, era stata autorizzata ad emettere moneta per 60 milioni, di cui possedeva sufficienti riserve auree, ed invece aveva emesso biglietti di banca per 113 milioni di lire, incluse banconote false per 40 milioni diffuse in serie doppia.

Per accertare le modalità di quelle emissioni fu proposta un'inchiesta parlamentare a cui si oppose il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti che promosse invece un'inchiesta presieduta dal primo presidente della Corte dei Conti Enrico Martuscelli. La contrarietà di Giolitti sembrerebbe dovuta a coprire il coinvolgimento nella faccenda del re Umberto I, il quale era fortemente indebitato con la banca.

Nel gennaio 1893 Martuscelli riferì l'esistenza delle irregolarità: il governatore della Banca Romana Bernardo Tanlongo e il direttore Michele Lazzaroni vennero arrestati.

Dal carcere Bernardo Tanlongo affermò di aver dato cospicue somme anche a diversi presidenti del consiglio, tra cui Giovanni Giolitti e Francesco Crispi. Giolitti, in risposta ad interrogazioni ed interpellanze parlamentari, negò di aver ricevuto denaro dalla Banca.

Nel novembre 1893 il comitato di sette parlamentari presentò al presidente della Camera la relazione finale nella quale si affermava che fra i beneficiari dei prestiti vi erano 22 parlamentari, fra cui Crispi. Il processo del 1894 si concluse con l'assoluzione degli imputati: per evitare che l'inchiesta travolgesse uomini di spicco della politica italiana, i giudici nella sentenza denunciarono la sparizione di importanti documenti, necessari a provare la colpevolezza degli imputati. Il procedimento penale venne quindi archiviato senza emettere alcuna condanna.

Sempre nel 1893, dovendosi tenere delle elezioni suppletive per un collegio rimasto vacante, alcuni personaggi romani pensarono di raccogliere delle firme per far eleggere Domenico Tiburzi al Parlamento italiano.

Si formarono dei comitati elettorali, a cui prese attivamente parte anche la rivista satirica l’Asino[1], che raccolsero ben 1200 firme e tappezzarono Roma di manifesti identici a quello che si pubblica.

L’intento era chiaramente provocatorio, ma visti i tempi chi meglio di un brigante conclamato poteva sedere a fianco di altrettanti colleghi?

 

Anzio Risi



[1] L'Asino fu un giornale di satira politica pubblicato a Roma a partire dal novembre 1892, l'anno del primo ministero Giolitti e della costituzione del Partito Socialista Italiano. Ideata da Guido Podrecca, uno studente positivista e socialista, e da Gabriele Galantara disegnatore e pupazzettista, anch'egli socialista

 

 

Copertina de l'Asino 

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Giovanni Giolitti 


 

Il manifesto in cui si propone la candidatura del brigante Tiburzi 


 

 


 

 

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