A proposito del Cardinale Alessandro Farnese occorre ricordare
il prezioso corredo di molte maioliche, "turchino cum oro" con
"l'arme del S. Cardinale", conservate in gran parte al Museo
napoletano di Capodimonte.
Studi recenti hanno attribuito a fabbriche di castelli in
Abruzzo questa produzione per la presenza, sul verso di alcuni
pezzi, di un curioso "criptogramma" costituito da una lettera
"C" e un n. 2 arabico tagliato in coda che dovrebbe
interpretarsi come "C.rum", abbreviazione paleografica di "Castellorum",
Castelli, appunto. Il corredo, formato di piatti, alzatine e
rinfrescatoi, dovrebbe essere stato donato al cardinale dalla
sorella Vittoria, allora duchessa d'Urbino, nel 1574, stante
la datazione di molti dei pezzi del corredo mentre per
l'Italia si ritrovano, sparsi in collezioni pubbliche e
private, ceramiche della stessa tipologia forse eseguite in
tempi successivi, o per imitazione o per completare il corredo
farnesiano il cui uso e il cui trasferimento (furono diverse
le dimore in cui il corredo fu conservato) potrebbero averne
causato rotture e scarti.
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Fig. A="#FFFFFF">
Fig. A |
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Fig. B
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Nelle Fig A
e B bacile del XVI
sec.; maiolica con decorazione a piena policromia. Nel
recto è istoriato il "trionfo di Galatea"; all'interno del
piede è dipinto uno stemma prelatizio Farnese. |
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Per
Vittoria Farnese si deve ricordare una ceramica del tutto
particolare. Lo studioso e archeologo settecentesco Giambattista
Passeri (tra l'altro nativo di Farnese), nella sua fondamentale
opera “Istoria delle Pitture in majolica fatte in Pesaro e né
luoghi circonvicini" , nel parlare di "conche da lavarsi"
scrive testualmente che "un'altra superbissima e piena di
erudizione che io con special dissertazione illustrai allora quanto
l'Eminentissimo Signor Cardinale Lanti mandolla da Pesaro in dono
all'Eminentissimo Signor Cardinale Corsini, si vedea simbolicamente
figurata la venuta in Pesaro di Madama Vittoria sposa al duca
Guidubaldo II sotto immagine di una dea marina accompagnata da ninfe
e tritoni, cosa più bella e più benintesa non potea vedersi”
Lo scritto del Passeri aveva incuriosito gli studiosi di "storie
farnesiane" soprattutto aveva scatenato in chi scrive, la voglia di
mettersi alla ricerca di questa "splendida conca".
Quando sembrava che si dovesse abbandonare l'impresa ecco apparire,
sul catalogo delle maioliche del Museo di Arezzo, una conca
istoriata, di proprietà della Confraternita dei Laici della stessa
città, di produzione della bottega dei Fontana d'Urbino databile tra
il 1550 e il 1575, contrassegnata sul verso dallo stemma del card.
Farnese e decorata, sul davanti, dal trionfo di Galatea ispirato,
guarda caso, al noto affresco di Raffaello eseguito nel palazzo
della Farnesina, divenuto proprietà dello stesso cardinale.
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L'autore della scheda sul “bacile" urbinate non aveva individuato in esso
quello descritto dal Passeri e che qui, per la prima volta possiamo datare
al 1562, in quanto di ciò troviamo conferma nella ricordata lettera del Caro
del 15 gennaio 1563 in cui è scritto: "Il Signor Duca suo Consorte (Guidubaldo)
fece fare qui (a Roma) molti disegni di varie storiette per
dipingere una credenza di majoliche in Urbino, La quale è stata finita, e
gli disegni sono restati in mano di quei Maestri, i quali ordinariamente non
hanno ad avere" .
Ma un'altra straordinaria maiolica si lega ancora a Vittoria.
Una targa di produzione pesarese, dipinta da Battista Franco e realizzata in
ceramica da Giacomo Lanfranco dalle Gabicce verso i11548, ricorda
l'allegoria del matrimonio della stessa nipote del papa Famese con
Guidubaldo II della Rovere.
L'impianto decorativo vede un carro in corsa alla cui guida si trova Paolo
III a cui si stringe la giovane Vittoria, mentre Guidubaldo ferma la corsa
impetuosa dei cavalli. Il pavimento su cui è dipinta la scena è simile ad un
tappeto cosparso di gigli, mentre al centro è posto lo scudo con il "giglio"
araldico farnesiano
La Sul cielo appaiono dipinti alcuni segni zodiacali (Leone, Scorpione,
Serpente), forse riferiti a quelli dei personaggi della targa.
Questa maiolica, di rara bellezza, è arricchita dalla rivoluzionaria tecnica
di applicazione di alcuni tocchi in "oro vero" , prima della cottura.
Su di un boccale altolaziale della fine del Cinquecento, di stile
compendiario, si ritrova il probabile ritratto del Duca Ranuccio I (1569-
1622) , mentre su di una brocca da spezieria in smalto berettino (colore
celeste), di produzione romana, datata 1602 e conservata nel Museo dell'
Arte Sanitaria di Roma, appare lo stemma famesiano.
Molti emblemi famesiani (anche semplici gigli) saranno poi utilizzati nel
decoro dei cosiddetti piatti compendiari, cioè in oggetti coperti di candido
smalto stannifero con elemento decorativo essenziale spesso costituito
proprio da stemmi ed elementi araldici, dalla fine del sec. XVI alla metà
del Seicento. .
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Boccale del
XV sec. di impasto rosato, rivestito interamente di smalto
stannifero. |
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