Esperienze e confidenze |
Parte Seconda |
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di Felice Socciarelli |
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1929: il maestro
Socciarelli accompagna
i capi famiglia a Palestrina per
l’assegnazione delle terre |
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"E tu me si toccato"
Ero uscito intanto sulla strada per avvicinare qualcuno dei
contadini che, a due, a tre, tornavano dal campo con grandi
zappe sulle spalle. Mi si fece subito attorno una folla
sudicia di ragazzi e ragazzette ; discorrevano a voce bassa e
io volli domandare non so che ad uno di essi. Non capii la
risposta in dialetto e spontaneo mi venne l'atto di
accarezzargli il capo scoperto. Ma non avevo ancora toccato i
suoi capelli che già quattro unghie lunghe e sporche (ancora
mi par di vederle!) mi avevano solcato a sangue il dorso
della mano.
Cercai di fargli capire che l'atto suo era stato cattivo ed
egli mi rispose: .
«E tu me si toccato!" (= tu mi hai toccato)
Spiegai che si trattava di una carezza che volevo fargli, ma
lui ripeteva:
«Tu me si toccato!».
Nessuno degli altri ragazzi mostrò segno di meraviglia per il
gesto di quel loro compagno.
Alcuni contadini mi salutarono e si fermarono a parlare con
me. Misero subito in tavola il tema della guerra;
raccontavano molto volentieri i fatti d'arme a cui avevano
preso parte e se ne facevano bravi.
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Questo mi confortò: sentivo almeno che,
se ero fra gente primitiva, non ero però tra gente priva di un
fondamento buono. Proprio in quei tempi si bestemmiava contro la
Patria in Italia e, il sentire che quegli uomini, pur così rustici
esteriormente, si gloriavano di averla difesa, era per me ragione
di gioia e di speranza. Non bestemmiavano l'Italia e ricordavano
con venerazione i caduti che il villaggio aveva dato.
Mi parlarono della scuola, contenti che, invece di una maestra come
per il passato, ci fossi venuto io. Ricordarono con vivo affetto
una maestra d'asilo partita alcuni mesi prima.
Tutto, anche il graffio ricevuto, mi destava sentimenti affettuosi
per la gente e per il luogo; l'interesse per la mia nuova vita, per
il mio nuovo lavoro si stabiliva già su più concreto oggetto che
non offrisse prima !'immaginazione, su più solide basi che non
quelle della mia previsione. Un villaggio di gente che già mi vuoi
bene, che già mi desiderava; una scuola mia, sola, sperduta in
questo remoto punto del mondo, dove godrò di una certa libertà di
lavoro, dove potrò fare la prima esperienza sotto il quasi solo
controllo della mia coscienza e del mio cuore: ecco, a un dipresso,
le idee e i propositi che mi turbinavano nella mente al calar di
quella sera.
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La prima fontana
di Mezzaselva |
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Il maestro Socciarelli insieme alle figlie
fuori la loro casa a Mezzaselva |
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"Te la magni che è buona"
Mentre stavo lì, tutto solo nella scuola, comparve una
bambina con un piatto di polenta e di erbe fritte e mi disse:
«Sei arrivato stasera, non ci avrai manco che ti magnare,
perché qui nun vendono gnente; così te so portato questa; ha
detto tata che te la magni che è buona».
E veramente il problema del vitto per me sarebbe stato
imbarazzante se non ci fosse stata la custode della scuola,
una brava donna, scampata con due bambine dal terremoto di
Avezzano, dove aveva lasciato il marito e tre figli sotto le
macerie e ne era uscita anch'essa e una figlia con ferite e
fratture. Questa aveva già accettato dal direttore l'incarico
di pensare a tutto; di tenermi, cioè, a pensione.
La sera, piena la mente dei migliori pensieri, mi avviai
verso la mia casa. S'era fatto già buio, ma non volli che mi
accompagnassero. La strada era fangosissima per le piogge
recenti; ad un certo punto mi mancò la terra sotto i piedi e
feci un volo di un paio di metri: ero caduto in un fosso
scavato giorni avanti dalla piena.
Tentai in qualche modo di uscirne, ma la terra era argillosa,
molle, e il salire per gli argini era come voler scalare la
montagna di sapone della vecchia favola che m'aveva
raccontato mio padre quand'ero bimbo.
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Passarono intanto alcuni uomini che, dal loro
modo di cantare, si capiva che fossero ubriachi. Quando si avvidero di
me, cercarono di prestarmi mano; se non che, i due più volonterosi
accorsi primi, precipitarono anch'essi nel fosso.
Come Dio volle, ne uscimmo tutti. Io raggiunsi la mia camera e mi
coricai. Per quanto distante dall'abitato, non fui solo: topi, pensieri
e sogni mi tennero compagnia tutta la notte.
Il giorno seguente feci le iscrizioni. Le quali, se in un paese
ordinario sarebbero state cosa da nulla, tutt'al più un pò rumorose,
qui riuscirono invece un'operazione interessantissima, ricca di spunti
caratteristici, di particolari ingenui ed eccezionali. |
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Parte Seconda |
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(da
"Scuola e vita a Mezzaselva", La Scuola, Editrice. V Edizione)
Foto e articolo tratti dalla rivista “Scuola Italiana Moderna”, Anno LXX, 5°
fascicolo monografico, 20 marzo 1961 |
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