Esperienze e confidenze |
Parte Quarta |
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di Felice Socciarelli |
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La primitiva
Cappella a Mezzaselva |
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La realtà e la parola
Credo che in vita mia non avrò più la fortuna di trovarmi
davanti ad un gruppo di anime vergini che scoprano per la
prima volta la relazione fra le parole scritte e la realtà,
il rapporto tra due frasi; che, cioè, scoprano per la prima
volta che fra i segni della scrittura circola il pensiero.
Non c'è nulla di più interessante. Lo spirito di quei
fanciulli vibrava di una gioia nuova, sui loro volti era
l'espressione di un interesse profondo, l'atteggiamento di
un'attenzione intensa e viva. Chi sentiva più il freddo?
Nelle anime si era fatta una luce che bastava a scaldarci
tutti.
Sotto le due frasi scrissi ancora:
il maestro voleva mandarlo a casa ma lui è andato per
viole.
Dopo la lettura di queste fu Antonio che suggerì:
e le ha date al maestro.
Letto e conquistato pienamente il significato del periodo formato così
alla lavagna, gli alunni mi chiesero un foglietto per
ricopiarvelo e portarselo a casa: non volevano staccarsi
dalla conquista fatta e volevano anche mostrarla in famiglia.
Li accontentai e, per alcuni giorni, passando vicino a certe
capanne si sentiva leggere e rileggere quel periodo che si
ripeteva poi anche a memoria per le strade del villaggio.
S’era destata nei miei alunni una viva luce dello spirito; ma
s'era, poi veramente destata allora per la prima volta? In
rapporto alla scrittura, sì; ma fino a quel tempo non avevano
essi parlato di cose? Quante volte non avevano espresso in
parole un pensiero, un bisogno, una cosa reale? Sempre: è
proprio dei bambini parlare solo secondo una realtà viva e
presente. I discorsi vani, campati in aria; i pensieri vuoti
sono... virtù di noi adulti.
Donde si vede che a scuola non avevo fatto vivere interamente
i miei scolari, avevo anzi soffocato la parte migliore della
loro vita: il pensiero. In una scuola ben condotta, il
trapasso dal linguaggio parlato a quello scritto non dovrebbe
affatto mortificare il pensiero e la spontaneità.
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Metodo naturale
Vediamo ora come quella luce fosse già sviluppata negli alunni
della seconda classe.
Nelle «Note e istruzioni per i maestri», stampate in
opuscolo che il «Comitato per le Scuole dell'Agro Romano»
distribuiva ai suoi nuovi insegnanti, era data, per l'inizio del
comporre, questa regola:
«L'alunno deve convincersi che fra quanto è in grado di dire e
l'espressione grafica del suo dire non c'è differenza. Perciò,
quando un alunno si alza e chiede qualche cosa manifestando un suo
bisogno, l'insegnante lo faccia subito uscire dal banco dicendogli
di scrivere alla lavagna quello che ha detto o che vuol dire».
La adottai perché mi parve e mi pare buona, specialmente nel primo
anno: il bambino si accorge davvero che quello, che dice potrebbe
farlo sapere anche scrivendo.
Qualche caso:
10 Febbraio 1920.
Un'alunna, Ermelinda P., si presenta e dice:
« Sor maè, so fonito gliu quaterno».
«Scrivi alla lavagna quello che vuoi perché non ho capito; dopo
leggerò».
Ella scrive: “quaterno”
Le osservai che da quella sola parola non potevo bene. Rispose:
« Tu me si detto: scrivi quello che voi; embè j' vojo gliu
quaterno ».
Aveva ragione: pretendevo da lei un formalismo di cui ancora non
era imbrattata, nel quale, invece, io ero immerso fino alla gola.
16 Febbraio 1920.
Settimio P. mi riferisce una prodezza del compagno: «Sor maé,
Panfilio ha chiappato un ragno e l'ha jettato agliu calamaro».
«Scrivi alla lavagna quello che hai detto».
Egli scrisse: «la jettato agliu calamaro».
Gli feci notare che non era precisamente tutto quello che aveva
detto e che dallo scritto non si poteva capire chi e che cosa
avesse gettato nel calamaio.
Egli mi rispose secco e terribilmente logico: «Nun l'ho scritto
perché già lo sai».
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La nuova Chiesa
di Mezzaselva |
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La prima comunione |
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Spontaneità
Diedi un foglietto a ciascun alunno dicendo: « Oggi, domani, quando vi
pare, quando avete da dirmi o da chiedermi qualche cosa,
scrivete lì sopra e poi riconsegnatemi il foglio senza
parlare ».
20 Febbraio 1920.
Tra Luigi S. e Francesco V., s'era avviato di sottecchi uno
scambio di piccoli pugni che andavano poi gradatamente
crescendo. Io vedevo e tacevo aspettando il momento che non
tardò a venire: Francesco, colpito un po' più forte, uscì dal
banco e si volse a me per dirmi qualche cosa. Senza dargli
tempo di parlare, lo invitai subito a scrivere alla lavagna
le sue rimostranze. Egli venne e scrisse:
« Gigetto me stava a dà tanti cazotti».
Intanto l'altro aveva seguito con animo teso quella scrittura
e, quando mi accorsi che stava per fare la sua difesa. Io
chiamai ugualmente a scrivere.
« Pure lui» (= anche lui).
Allora scrissi io:
" Perché?». Poi mi rivolsi a Gigetto e lo invitai a
rispondere sempre scrivendo.
«So trovato na carta sugante per terra e la voleva jesso».
«No la so trovata io».
«No stava da la parte mia».
«Ma io lò presa primo».
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Non avendo più da ambe le parti argomenti concreti,
il dialogo finì. Forse sulla strada al posto degli argomenti avrebbero
poi messo spintoni e busse, ma io li riconciliai togliendo loro quella
carta assorbente vecchia e dandone a ciascuno una nuova.
L'episodio era rimasto là sulla lavagna, nella sua vivezza, completo, né
una parola di più, né una di meno: vi si sente proprio il bisogno
d'entrambi di dire tutto e subito. L'arte? La grammatica? Quando c'è
l'efficacia fino a quel punto, è già molto.
La scolaresca lesse e rilesse. quel dialogo vissuto con l’interesse di
chi assapora cosa nuova che l'attrae: era un momento di coscienza che
si concretava oggettivandosi; ciò che non è possibile se non quando si
rivive internamente assimilando ciò che si legge.
Intanto erano passati quattro giorni da che io avevo dato il foglietto
e nessuno mi aveva scritto nulla, benché gli alunni continuassero come
il solito a chiedermi, a dirmi ora una cosa ora un'altra. Il quinto
giorno, al primo che mi parlò, risposi con tono deciso:
«Vi ho dato la carta per scrivermi; a voce non voglio sentir nulla».
Conservo ancora sette foglietti sui quali altrettanti alunni mi
espressero un loro bisogno, un loro desiderio dopo quella mia brusca
risposta. Sono senza data ma furono eseguiti tutti nel termine di pochi
giorni. |
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Parte Quarta |
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(da
"Scuola e vita a Mezzaselva", La Scuola, Editrice. V Edizione)
Foto e articolo tratti dalla rivista “Scuola Italiana Moderna”, Anno LXX, 5°
fascicolo monografico, 20 marzo 1961 |
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